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Il leprotto e il fungo magico

1. La valle dalle orecchie lunghe

C’era una volta in un luogo lontano, un paese abi­tato soprattutto da lepri e conigli.

Era un posto bellissimo. Il panorama era formato da un’infinita distesa di verdi colline fiorite attraver­sate da un allegro ruscello dalle fresche acque cristal­line.

Qua e là, boschetti di betulle e arbusti di vario tipo, adornavano il paesaggio come aiuole in un giardino ottocentesco.

Sullo sfondo una corolla di aguzze montagne inne­vate faceva da cornice a questo già ineguagliabile spettacolo della Natura.

Le due razze di roditori erano molto simili ma ugualmente discutevano spesso. Ognuno di loro con­siderava le proprie caratteristiche fisiche migliori per sopravvivere.

Litigavano ad esempio per la lunghezza delle orecchie. Le lepri sostenevano che avere orecchie così grandi gli faceva sentire in anticipo i predatori. I conigli al contrario affermavano che con orecchie più piccole potevano nascondersi più facilmente.

Discussioni di questo genere erano all’ordine del giorno, lungo le due rive del ruscello che divideva il territorio come fosse un muro invalicabile. Sembrava quasi essere diventato il passatempo preferito.

Un altro argomento che li infervorava era il colore del pelo. I conigli sostenevano che il bianco abbagliava i predatori poco prima della cattura facendogli mancare la presa, mentre le lepri dicevano che col loro marroncino evitavano del tutto il pericolo diventando invisibili tra gli arbusti.

2. Un cucciolo speciale

Un giorno tra le lepri nacque un piccolo alquanto bizzarro. Aveva le orecchie più corte dei suoi simili, occhi più grandi, ma soprattutto un buffo codino bianco come la neve. I genitori lo notarono subito ma erano convinti che crescendo sarebbe diventato come gli altri. Come poteva essere altrimenti visto che anche lui discendeva da una delle più grandi stirpi di lepri?

Invece dopo un paio di mesi, alla prima muta di pelo, oltre al codino erano diventate bianche anche le punte delle zampine e delle orecchie. Il piccolo fu aspramente sgridato dagli adulti e canzonato dai suoi coetanei che lo chiamavano “mezzo–coniglio”. Al le­protto sarebbe tanto piaciuto esser come gli altri e far felici gli amati genitori, ma davvero non sapeva come fare. Non aveva di certo scelto lui, di esser di­verso.

Un giorno, mentre stava bevendo in riva al ru­scello, notò che le sue zampette sporche di terra ba­gnata sembravano come quelle dei suoi amici. Così provò a mettere del fango anche sul codino e sulle orecchie, e l’effetto che ne usciva non sembrava troppo brutto. Guardò il suo riflesso nello specchio d’acqua e ne rimase soddisfatto, così decise che d’ora in poi sarebbe stato quello il suo aspetto.

Anche i genitori approvarono quella scelta, e ogni volta che il fango si toglieva, lui tornava a metterlo.

Le settimane passarono e le altre lepri avevano in parte accettato quel suo giornaliero andirivieni dal ruscello. Tutti, tranne un paio di suoi amici che conti­nuavano a prenderlo in giro.

Gli dicevano che anche se lo copriva, il bianco ri­maneva e lui invece di un mezzo–coniglio ora era una lepre impostore. Però la mamma lo aveva convinto a non dar loro importanza visto che tutti gli altri della comunità lo avevano accettato.

 

3. Un amico inaspettato

Una mattina, proprio mentre con la solita preci­sione stendeva il fango sul pelo candido, sentì una voce parlottare prima bassa e poi sempre più nitida e vicina. << Non pensi che così sei finto? >> chiese la voce. Il leprotto si guardò intorno cercando di capire la provenienza di quelle parole.

<<Dai, non scherzate ragazzi!>> disse il leprotto pensando che fossero i suoi compagni. <<La mamma ha detto che meglio di così non potrei fare e che siete solo voi a non essere d’accordo>>.

<<Grazie del complimento>> rispose la voce, <<forse potremmo esser considerati tanti, ma ragazzi non più da un pezzo!>> Esclamò poi ridendo la voce.

<<Allora fatti vedere!>> disse il leprotto in parte confuso e in parte spaventato.

<< Se abbassi gli occhi, sono proprio di fronte al tuo nasino >> sghignazzò ancora la voce.

A quel punto il cucciolo guardò nella direzione in­dicata e vide un paffuto funghetto dal cappello az­zurro con due occhietti furbi ma buoni. <<Eccoti!>> esclamò.

<<Finalmente ti vedo>> aggiunse poi, <<sei così pic­colo che non ti avevo notato>>.

<<Ha parlato il gigante>> rispose l’azzurro fun­ghetto sarcastico. <<Piuttosto dovresti stare attento a dove metti i tuoi piedoni! >>.

<<Ti ci metti pure tu?>> chiese allora il leprotto of­feso. <<Cos’hanno i miei piedi che non vanno? Già ho le orecchie piccole, gli occhi grandi e un pezzo di pelo bianco. Adesso anche i piedi non vanno>>.

4. Punti di vista

<<Sono tutto sbagliato>> iniziò a piagnucolare conti­nuando a stendere il fango sul codino che però si scioglieva con le lacrime e lui ne prendeva altro rico­minciando a metterlo.

<<Pensi così di risolvere i tuoi problemi?>> rispose il funghetto>> piangendo e facendo finta che non esi­stano?>>.

–<<Cosa ne sai tu?>> rispose il cucciolo, <<sono nato sbagliato e devo cercare il modo di riparare ai miei errori>>.

<<Davvero pensi che essere diversi sia una colpa?>> aggiunse l’azzurro compagno di chiacchera.

<<Se solo io sono così, non possono sbagliare di certo gli altri>> rispose convinto l’orecchiuto animaletto.

<<Sono solo punti di vista>> affermò con sicurezza il fungo. Il leprotto lo guardò di traverso con aria in­terrogativa.

<<Ti ricordi quando eri molto piccolo e ti sei ad­dormentato nel boschetto facendo morire di paura i tuoi genitori che non ti trovavano più?>>

<<Certo che lo ricordo>> rispose il nostro amico da­gli occhi ancora piangenti. <<Il mio papà mi sgridò di brutto dicendomi che non potevo dormire dove vo­levo>>.

<<Ricordi anche che ti trovò grazie al bianco co­dino? Non pensi a quanta ansia ha evitato alla mamma quel tuo grave difetto?>>

<<Il papà disse che ero stato molto fortunato che un predatore non mi avesse trovato, perché il mio pelo si vedeva da lontano>>.

<<Come ti avrebbe visto lui se non avessi avuto quella tua particolarità? Forse un predatore ci avrebbe messo di più a trovarti senza il candido co­dino, ma col suo potente fiuto non credere che non ci sarebbe riuscito ugualmente. In quel caso essere di­versi è stata la tua salvezza, non credi?>>

Al leprotto non era mai venuto in mente di vedere quella storia da quel punto di vista. Forse, si stava ora instillando nella sua testolina la rivoluzionaria idea che qualcosa di sbagliato ci fosse sul serio, ma non in lui.

Potrebbe essere possibile, che invece davvero fos­sero gli altri a non rendersi conto che essere diversi a volte poteva significare essere speciali invece di sba­gliati?

Questo pensiero lo sfiorò solo per un attimo, poi ripensò agli insegnamenti dei suoi genitori: loro non potevano sbagliare, gli volevano bene e tutto quello che finora gli avevano detto e ripetuto doveva per forza essere giusto.

Così ricomincio con più decisione a spalmare il fango, riuscendoci molto bene, visto che ormai le la­crime non scendevano più.

 

5. Una piccola magia

L’amico funghetto aveva notato un momento di dubbio nei suoi pensieri ma, visto che poi li aveva scacciati, decise di assecondarlo.

<<Se proprio vuoi essere come tutti gli altri ti aiuto io>>.

<<Grazie>> rispose il leprotto, <<ma credo di aver finalmente finito>> disse in modo soddisfatto os­servando il suo lavoro.

<<Davvero>> continuò il funghetto, <<posso farti di­ventare del colore che vuoi e non avrai più bisogno di spalmare il fango tutti i giorni>>.

Il leprotto stava per tornare a casa ma, sentite quelle ultime parole, si fermò.

<<Davvero puoi? Davvero non dovrò più venire ogni giorno a mettere quel fango viscido sul pelo bianco?>>

<<Certo>> rispose il funghetto, <<basterà che tu stacchi un pezzetto del mio cappello e mentre lo mangi pensi al colore che vuoi essere. Prova!>>

Il nostro amico orecchiuto si avvicinò con timi­dezza: – sei sicuro che non ti faccio male?>>

<< Tranquillo>> disse il funghetto, <<se te lo dico io, puoi fidarti!>>

Il leprotto staccò un pezzo più piccolo possibile dall’azzurro cappello del suo amico di chiacchera, lo mangiò e pensò quanto più intensamente gli permet­teva la sua testolina al colore del pelo della sua mamma. Nel momento in cui lo faceva, però, stava guardando il fango sulla sua zampina, così divenne di un colore a metà tra la terra bagnata ed il marroncino del pelo profumato che tanto amava.

6. Incompreso

Guardò quindi il risultato e rimase stupefatto. Così saltellò felice verso casa per correre dai suoi genitori e dare la bellissima notizia. Già s’immaginava i com­plimenti e i festeggiamenti che avrebbe ricevuto per aver trovato una soluzione definitiva al suo grave problema.

Quando arrivò a casa, la mamma lo guardò invece con sospetto. <<Cos’è questa stregoneria?>> gli disse,  <<dov’è il mio piccolino?>>

<<Mamma sono io!>> rispose sorpreso, <<ho risolto tutto, ora sono come gli altri, non sei contenta>>

<<No, tu non sei mio figlio>> affermò con sicurezza. <<Il mio piccolino ha orecchie corte, dolcissimi occhi grandi e un codino bianco come la neve. Ogni giorno, cerca di nascondere i suoi difetti, ma tanto si vedono lo stesso. Non vuole capire che non potrà mai essere come gli altri e che si dovrebbe rassegnare. Tanto, alla fine, verrà espulso dalla comunità. Ora è accet­tato solo perché è ancora un cucciolo. Però questo glielo diremo solo quando sarà il momento>>.

Al leprotto tornarono le lacrime agli occhi:

<<Come fai a non vedere che sono io, mamma?>> le disse. <<È vero, sono sbagliato, ma non è colpa mia se sono nato così. Ce l’ho messa davvero tutta per cercare di cambiare, per rendervi felici, ed ora che ci sono riuscito non mi riconosci neanche più? A cosa sono serviti tutti i miei viaggi fino al ruscello per spalmare il fango sul pelo bianco? Cosa ho faticato a fare se ora mi dici che tanto avete già deciso di cac­ciarmi?>> le rispose con rabbia tutto d’un fiato.

<<Vedi?>> disse la mamma, <<il mio piccolo non mi avrebbe mai trattata così. Lui è ubbidiente, ha sem­pre capito che noi adulti abbiamo ragione e sono si­cura che accetterà il suo destino senza tutte le chiac­chere che stai facendo tu. Lui, non si sarebbe mai permesso di parlarmi con quel tono. Anche per que­sto sono sicura che tu non sei mio figlio>>.

Detto ciò il leprotto annuì e se ne andò col cuore spezzato.

7. Crescere è un mestiere difficile

Vagò per un po’ in giro per le colline poi ebbe sete e si ricordò dell’azzurro funghetto. Corse a perdifiato il più velocemente possibile verso il luogo dove lo aveva incontrato.

Arrivato in riva al placido corso d’acqua si fermò ad osservare per qualche secondo la sua immagine ri­flessa. Stava cercando di capire cosa poteva aver fatto di così sbagliato per indurre la mamma addirit­tura a non riconoscerlo. Proprio non capiva perché ogni cosa che faceva non andava bene. Eppure cer­cava di essere ubbidiente e seguire tutti gli insegna­menti degli adulti.

<<Non riesci proprio a capire che non è colpa tua, vero?>> disse in quel momento la voce del funghetto.

<<Hai ragione>> ripose il leprotto, <<è invece colpa tua! Se non ti avessi dato retta, ora starei con la mia mamma. Fammi tornare come prima!>>

<<Non è difficile>> disse l’azzurro compagno senza lasciarsi turbare dall’accusa, <<basta che ti bagni nel ruscello e pensi a come vorresti davvero essere. Tut­tavia rifletti bene. La scelta questa volta deve scatu­rire solo ed esclusivamente dai tuoi desideri e non da cosa vorrebbero gli altri che tu fossi. Valuta bene le conseguenze perché non avrai altre possibilità. Se torni col tuo bianco codino, ad esempio, poi dovrai ri­cominciare a spalmare fango. Inoltre fino a quando ti potrà servire? Hai sentito cos’ha detto la mamma: appena sarai adulto verrai comunque allontanato. Quindi il mio consiglio è di pensare bene prima di prendere una decisione>>.

I pensieri nella mente del nostro triste amico iniziarono a girare vorticosamente e un’idea rivoluzionaria iniziò a nascere:            

davvero poteva essere come voleva.

Iniziò a riflettere su come gli sarebbe piaciuto di­ventare. Avesse avuto questa possibilità solo il giorno precedente avrebbe senz’altro scelto che gli venis­sero tolti tutti i suoi difetti, ma poi la mamma lo avrebbe accettato o si sarebbe rifiutata di riconoscerlo com’è successo oggi? A quanto pare una decisione era stata presa alle sue spalle indipendente­mente dal suo impegno.

Iniziò a immaginarsi un leprotto perfetto. I suoi amici erano accettati da tutti e non sarebbero stati cacciati. Però, ora che ci pensava, uno aveva un oc­chio di un altro colore, un altro aveva il naso storto, un terzo aveva un orecchio che rimaneva sempre piegato.

Perché le loro diversità non comportavano l’espulsione dalla comunità? Ora che ci pensava an­che il suo papà aveva una zampa di un marrone più scuro di tutto il resto del corpo. Pensò e ripensò a tutte queste cose cui non aveva mai dato peso con­centrato com’era a correggere i propri errori.

Decise che da quel momento in poi, sarebbe stato solo se stesso. Solo lui poteva decidere come voleva essere.

Pensò al bianco pelo dei conigli e si chiese se loro lo avessero mai accettato se fosse diventato uguale, ma non poteva esserne sicuro e non voleva rischiare.

Guardò quanto era bello il cielo e s’immaginò tutto di quel colore, poi guardò un bellissimo papavero e si vide rosso, scartando anche quell’idea.

Guardò e pensò a molte cose che gli piacevano, ma erano loro a essere perfette in quel modo, non lui.

Gli tornarono allora in mente le parole della mamma. Lui era il leprotto con le orecchie piccole, gli occhi grandi e il codino bianco come la neve.

Quello era lui e nessun altro. Così voleva tornare: aveva deciso. Solo che non avrebbe mai più usato il fango. Ormai si piaceva troppo così com’era per na­scondersi.

S’immerse con decisione nelle dolci fresche acque, rabbrividendo un poco al contatto, chiuse gli occhi e si concentrò. Mentre il funghetto osservava compiaciuto il suo amico, avvenne la strabiliante trasformazione. Non aveva più l’aspetto del piagnucoloso cucciolo che aveva conosciuto solo poche ore prima. Ora era cresciuto. Ora la sua mente era libera.

8. Cambiando noi stessi cambiamo il mondo

Uscito dal ruscello, si gustò il calore dei raggi solari che lo asciugavano, poi tornò con fierezza a casa. La mamma gli venne incontro felice e gli raccontò di quello strano leprotto che pretendeva di essere lui.  <<Proprio non hai capito, vero?>> le disse, –<<ero io, avevo trovato finalmente il modo per essere come tutti mi volevate, ma tu non hai voluto credermi. Comunque devo ringraziarti. Ora finalmente ho capito chi sono>>.

Mamma lepre, infine comprese e si pentì amara-mente di aver trattato così aspramente quello che per lei era uno sconosciuto. Cercò di scusarsi ma il le­protto la interruppe dicendo: <<Non ti preoccupare, ho capito e non m’importa più dei vostri giudizi. Ho compreso il vostro punto di vista, ma vorrei riflettiate su una cosa: non vi siete resi conto che tutti hanno qual­cosa di diverso? Ti sei mai specchiata nel ruscello, mamma? Hai mai notato che sul tuo fianco hai un ciuffo di pelo di un marrone più chiaro? Il papà invece ha una zampa più scura e il mio amico ha il naso un po’ storto. Quasi tutti nella comunità hanno qualcosa che li differenzia altrimenti come ci distingueremmo gli uni dagli altri?>>

La mamma non aveva mai pensato a tutto ciò. Guardò con orgoglio il suo piccolo che ormai era cre­sciuto e andò dal consiglio degli anziani. Lunga fu la riunione che se seguì. Sembrava che non finisse più, tante erano le ore in cui stavano discutendo.

Quando finalmente gli adulti tornarono dai loro piccoli qualcosa di profondo era cambiato nella co­munità. Tutti, tranne un paio di cocciuti, avevano alla fine capito che le diversità spesso erano utili e rende­vano chi le possedeva speciale invece di sbagliato. In qualche modo erano tutti unici, ed era per questo che la grande famiglia delle lepri funzionava così bene.

Le ripercussioni si videro presto. Finirono i batti­becchi con i conigli che, quando gli venne data la ri­voluzionaria idea, furono ben felici di accettare la tregua. Anche se in realtà poi le discussioni si sposta­rono quasi per abitudine su altri temi, ma questa è un’altra storia.

Nessuno fu più cacciato dalla propria casa ed an­che il nostro leprotto ormai adulto poté vivere con fierezza insieme alla sua famiglia che lo considerava quasi un eroe.

Solo una cosa non cambiò mai: il nostro amico orecchiuto tornò tutti i giorni al ruscello, questa volta però solo per chiacchierare col suo amico dall’azzurro cappello.

Vi è piaciuta questa favola?

Se volete ascoltarla, potete trovarla all’interno di questa puntata di Radio Crimy 

https://anchor.fm/il-mondo-di-crimy-art/episodes/Lessenza-di-crimy-e1i4ip6

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