Il dono delle foglie
Cari amici, ora vi presento una bellissima favola inedita di Elisa Montesi, una scrittrice emergente dall’animo gentile. Il racconto si svolge come un bellissimo viaggio d’iniziazione ed è questo che mi ha colpita di più.
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Mentre guidavo la mia fantastica 600 celestina, che chiamavo affettuosamente Isotta, in radio stava passando una canzone del grande Ligabue e la cantavo ignara di quello che sarebbe successo a breve. Finito il motivo, la speaker chiese: «Sei Elisa?»
Mi guardai intorno, pensando ah che bello, la speaker si chiama come me! Senza capire che ce l’aveva proprio con la sottoscritta. La presentatrice ripeté la sua domanda: «sei Elisa? Sei di Roma? Abiti in una grande casa rossa?»
A quel punto iniziai a rispondere a tutto dicendo: «sì sono io, ma come… »
La radio si spense del tutto, la voce continuò a parlare dicendomi di lasciare andare le mani dal volante, di non fare domande e di allacciare bene la cintura di sicurezza: pronta a spiccare il voloooo!
La macchina si trasformò in un tappeto volante. Sorvolammo tutta la città e, nel cielo Azzurro, gli uccellini mi guardarono e mi salutarono augurandomi il buongiorno e chiedendomi dove fossi diretta, anche se non seppi rispondere… Ero in balia degli eventi.
Il tappeto pian piano rallentò fino a fermarsi nel cielo che era sempre più blu, finché la voce mi disse: «guarda, atterriamo laggiù, proprio su quel prato. Ora osserva cosa accadrà».
Mentre il tappeto si avvicinava al prato, delle bolle di energia si alzavano, cambiando forma e colore. Era magia allo stato puro. Il tappeto si adagiò lentamente e mi disse: «Ora puoi scendere, segui la via verso il bosco.
Non sapevo cosa fare, nella mia testa scoppiarono mille domande, ma continuavo a camminare e mi ripetevo segui la via per il bosco…
All’improvviso, di fronte a me apparve un portarle, così entrai e per magia mi trovai nella selva.
Iniziai a camminare, mi sentivo la mente vuota, come avvolta in una bolla. C’ero solo io e il silenzio del bosco. Ascoltavo con attenzione tutto ciò che avveniva intorno a me. Ogni passo che facevo sentivo il rumore delle foglie sotto ai miei piedi. Vidi in lontananza una figura che pian piano prendeva sempre più forma. Non appena lo raggiunsi, mi spiegò che era un vecchio eremita e viveva da molti anni in questo posto.
Poi i suoi occhi sembrarono entrare nei miei e mi disse: «prima di attraversare il bosco, devi chiedere il permesso per entrare, ma ricorda che farlo significa fare un viaggio dentro noi stessi. È un percorso difficile con deviazioni improvvise e vicoli ciechi, ma ricorda che ogni imprevisto ci rivela un mistero, e ogni desiderio si esaudisce per il nostro bene. Lo guardai attentamente, la sua voce e le sue parole mi arrivarono dritte al cuore. Così gli chiesi: «Cosa devo fare?»
«Prendi 3 foglie e chiedi il permesso per entrare.»
«Quali devo prendere?»
«Qualsiasi tipo andrà bene. Le foglie sono magiche e ti risponderanno. Se non lo faranno si alzerà lo spirito del vento (Waira è il suo nome). Ti consiglio di non prendere a caso le foglie, poni attenzione a ciò che fai e come le scegli. Segui il tuo istinto, rispetta i tuoi tempi e non correre perché qui il tempo non esiste.
Così iniziai a guardarmi intorno e ne presi tre.
Il vecchio saggio parlò ancora: «Le hai scelte?»
Annuii.
«Ora mettile una sopra all’altra ed esprimi il tuo desiderio chiedendo alla Pachamama (la madre terra) di sostenerti. Una volta fatto soffia sopra le foglie per tre volte, poi gettate in aria e ringrazia madre terra per aver accolto il tuo dono. Si alzerà il vento e sentirai una voce. Rimani in ascolto.»
Così feci. Seguii alla lettera tutto ciò che il saggio mi disse. Chiesi il permesso per entrare, soffiai sulle foglie e le gettai verso l’alto. All’improvviso si alzò Waira il vento. Le foglie iniziarono a danzare davanti ai miei occhi e a parlare con una vocetta soave… «Ben venuta! Ben venuta! Seguici a ritmo di musica e balla con noi. Muovi il corpo e pensa di essere una foglia leggerissima.»
Così iniziai a danzare finché i miei occhi incrociarono quelli del grande saggio che annuendo mi augurò un buon viaggio.
Le foglie smisero di danzare e alle mie orecchie arrivò ancora l’inconfondibile vocina.
«Ricorda: Gli alberi e le rocce t’insegnano cose che nessun maestro ti dirà (cit. San Bernardo di Chiaravalle); se scuoti un albero diversi gnomi, fate e tesori, ondeggeranno per un attimo in aria (cit. Fabrizio Caramagna); mentre cammini ogni tanto metti l’orecchio a terra per sentire cosa raccontano le radici al cielo (cit. F. Caramagna).»
Poi caddero a terra. Le ringraziai dei loro insegnamenti e proseguii il cammino.
Il bosco è magico, pensai. In me vi era una grande pace. Sentivo ogni tanto Waira che mi accarezzava i capelli e sapevo di non essere sola. Ripensai a cosa mi dissero le foglie, così mi appoggiai a un albero e iniziai a scuoterlo, ma niente. Non vedevo fate ne gnomi, così decisi di mettermi seduta, afferrai il mio zaino per prendere qualcosa da sgranocchiare ma, mettendo la mano all’interno, sentii qualcosa di strano, come un rumore di qualcuno stava mangiando biscotti e mi allarmai.
«Aiuto chi sei? Perché mangi i miei dolcetti?»
Un piccolo gnomo si fece vedere: «Hai scosso l’albero e tutti noi ti stavamo osservando! Abbiamo visto i tuoi biscotti e ora, con te, li offriamo alle radici dell’albero. Siamo gli abitanti del bosco, insieme a noi ci sono le fate, gli elfi e le ondine. Ci piace cantare, ballare e vivere a colori. Ora mettiti seduta.
Uno, due, tre… via!
Intonarono una canzoncina allegra.
«Siamo noi gli abitanti delle acque e del bosco fatto di gnomi, fate, elfi e ondine. Hai presente la luna e la selva? Hai presente le stelle? Siamo noi gnomi, elfi, fate e ondine, ci manchi e non vedevamo l’ora d’incontrarti per dirti che ci piaci. Ci piaci davvero tanto! Hai presente la via del bosco? Ora seguici. Viviamo all’interno dei tronchi degli alberi, sui rami e sottoterra. Ci piaci! Ci piaci davvero tanto. Siamo noi l’esercito dei gnomi… »
Quando mi portarono a incontrare una roccia grandissima, mi tornarono in mente le parole delle foglie: le rocce e gli alberi t’insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.
Arrivammo al centro del bosco dove, il gran masso a forma di uovo, mi ricordò il sasso gigante che vidi nella cattedrale di Cusco in Perù. La roccia percepì il mio pensiero: «Si, esatto, sai esattamente cosa devi fare… Vieni vicino a me, cerca di salire in cima e poi sdraiati.»
Così, facendo piano per paura di scivolare, arrivai in cima e mi misi in piedi: era altissima, tanto che mi sembrò di toccare il cielo con un dito, poi mi sdraiai.
Non sentivo più il mio corpo, la roccia mi aveva risucchiato, ero dentro di lei, mi sentivo libera e iniziai a vedere delle cose meravigliose che brillavano. C’era il mare dei cristalli con forme e colori diversi tra loro. La roccia capì che volevo toccarli e mi disse che in quel momento non si poteva. Quindi chiamò ondine, fate, gnomi ed elfi: «Ora prendetevi per mano, fate un grande cerchio, assorbite energia e visualizzate un grande cuore al centro del circolo. Rimasero così per cinque minuti, poi la voce intervenne ancora: «Ora lasciatevi le mani. Ondine mettetevi verso nord. Fate posizionatevi verso est. Gnomi ed elfi andate a ovest. Ora chiamerò le Nustas (le principesse dell’acqua) in direzione sud.»
La roccia, con le sue grandi dita, prese un sacchetto e vi mise i cristalli. Poi mi guardò: «Metti le tue mani sul cuore.» Arrivò uno gnomo con una piccola miscia (sacchetto con oggetti di potere) e la passò tutto intorno al mio corpo, poi riprese a parlare: «Apri le mani.» Ci soffiò sopra tre volte, poi venne la fata e fece la stessa cosa sulla mia gola, l’ondina sulla testa e la Nusta sull’osso sacro.
Mi sentivo leggerissima…
Allora la grande roccia parlò ancora: «Chiedo alle ondine del nord di donare il loro potere di conoscenza ai cristalli. Chiedo alle Nustas del sud di donare il loro potere di amare ai cristalli. Chiedo alle fate dell’est di donare il loro potere di purificazione ai cristalli. Chiedo agli gnomi dell’ovest di donare il loro potere di forza ai cristalli, affinché siano veicoli di luce pace e amore.»
Rimasi senza parole. Partecipare alla mia prima cerimonia mi emozionò tantissimo.
La roccia stava continuando a parlare: «ora facciamo partire una colonna di luce da sotto i nostri piedi.» Mi dissero che dovevo mettermi al centro del loro cerchio, mi diedero il sacchetto con i cristalli e la colonna di luce iniziò a sollevarmi. In mezzo secondo ero fuori dalla roccia. Uscita la abbracciai forte e la ringraziai.
Avevo incontrato il Grande Maestro ed ero felice.
Appena mi girai, mi accorsi che lì vicino c’era lo gnomo: «Vieni, il nostro viaggio deve continuare.»
Gli chiesi con gentilezza se ci potevamo fermare un pochino perché ero un po’ stanca. L’emozione che avevo provato era fortissima.
Annuii con comprensione: «Va bene, questo mi sembra il luogo giusto.»
Ci sdraiammo sotto l’albero e mi addormentai.
Dopo un bel po’ aprii gli occhi alla ricerca del mio amico gnomo, ma davanti ai miei occhi vidi delle luci che correvano veloci: «Che bello, sono lucciole!» Iniziai a corrergli dietro mentre saltavano di qua di là.
Allora Lo gnomo mi disse che non erano lucciole, ma le fate che volevano incontrarmi. «Hai ancora nel tuo zaino il latte speziato?»
Aprii subito lo zaino per vedere se nel thermos ne fosse rimasto un pochino, esultando di gioia quando ne vidi.
«Perché il latte?»
Lo gnomo mi guardò ancora con il suo sguardo premuroso:«Il latte e il miele sono i cibi preferiti delle fate. Versane sotto l’albero e allontanati piano piano. Vieni, riprendiamo il cammino».
«Ma come sono le fate?»
«Non ti preoccupare sanno loro quando farsi vedere.»
Così c’incamminammo di nuovo.
Il silenzio del bosco s’interruppe con un bellissimo e dolcissimo canto.
Guardai il mio amico e gli dissi: «Perbacco, sono loro! Guarda come sono belle! Guarda come danzano! Ora cosa stanno facendo? Noo, non ci posso credere! Stanno intrecciando dei fiori per creare delle coroncine?!? Sono bellissime!»
I loro vestiti erano tutti azzurri.
«Gnomo guarda! Lei sta venendo verso di me!»
La fata mi guardò dritta negli occhi: «Grazie della tua bellissima offerta. Il latte era buonissimo. Ora noi abbiamo un dono per te. È la legge dell’Ayni, che vige tra di noi, e parla di reciprocità: tu hai dato il tuo dono e ora noi ti daremo il nostro.»
Tra le mani aveva un bicchiere.
«La grande roccia ti ha donato i suoi cristalli che fanno parte della Pachamama. Noi, in qualità di fate, ti doniamo la nostra acqua che è molto particolare. Potrai utilizzarla nei momenti di difficoltà, la puoi usare sul tuo corpo, sul viso o sul tuo cuore quando lo sentirai bloccato.»
Le fate si misero al lavoro. Presero una piccola tovaglia bianca, misero il bicchiere di vetro con tanti fiori colorati. Quindi arrivò la fata con un catino e dell’acqua, che versò nel bicchiere. Si misero tutte intorno al calice formando un grande cerchio, poi mi chiamarono: «Vieni e stendi le braccia come facciamo noi, con le mani rivolte verso l’acqua.»
La fata prese i fiori di mora, le foglie di menta e altri fiori colorati, e li mise dentro al bicchiere. Ad aiutare le fate nella cerimonia venere, c’erano le lucciole e le Nuste.
Intonarono una melodia tutte insieme. Più cantavano, più bollicine si formavano all’interno del bicchiere cambiando colore. Poi la grande fata iniziò a suonare due campanellini e pronunciò la frase magica:
«Le fate del bosco e le sue amate sorelle hanno apprezzato il tuo dono e il tuo cuore. Noi in cambio ti diamo la nostra energia sotto forma di acqua magica, potrai utilizzarla sul tuo corpo quando ti sentirai stanca, potrai anche sorseggiarla, portala sempre con te. Quando ci sarà la luna piena, tienila sotto la sua luce».
Ricorda: è solo per te. Noi saremo sempre con te. Ogni volta che entrerai in un bosco, rammenta di portare un biscotto con del latte, o una lettera. Saremo lì ad aspettarti. Ora apri le tue mani e accogli il nostro dono.»
Il bicchiere si trasformò in una piccola bottiglietta con della polvere dorata sul tappo. La fata mi diede un bacio sulla fronte e si congedò con tutte le sue sorelle.
In quel momento mi guardai intorno e vidi il vecchio eremita. Ero pronta a raccontargli tutto ciò che avevo vissuto, quando mi lanciò uno sguardo profondo: «È il momento di ritornare, metti le mani sul tronco dell’albero e ringrazia il bosco per tutta l’esperienza che hai vissuto.
Ora fai tre respiri profondi, sentendo l’aria che entra ed esce, poi prendi un fiore, soffia forte sui petali e falli volare via. Seguili con lo sguardo mentre il vento li porta con sé.»
Mi accorsi che stavo volando con loro per ritornare dentro la mia Isotta dove tutto iniziò.
Grazie, pensai con il cuore colmo di gratitudine.
Il paese dei matigomma
Ora vi presento la bellissima favola di Maria Morabito, pubblicata nel libro “Sara raccontami una Fiaba”. È una raccolta di tanti raccontini donati da molti autori e autrici per la Onlus “Sara un angelo con la bandana” che si occupa di dare voce e aiuto alle famiglie a i bambini affetti da cancro ricoverati presso l’ospedale Bambin Gesù.
Il libro è corredato da bellissime illustrazioni ed è acquistabile su ordinazione in tutte le librerie e presso il sito dell’associazione http://www.saraunangeloconlabandana.com/
Ho conosciuto questa autrice tramite facebook e ne ho fin da subito apprezzato la sensibilità, finché mi ha proposto di leggere la sua favola:
IL PAESE DEI MATIGOMMA
Marta è una bambina di dieci anni. Ci sono favole nella sua mente che vanno e vengono, ma se prova a fermarle sulla carta le idee non riescono mai a prendere forma.
“Oggi ci devo riuscire” pensa la bambina e davanti a un foglio bianco invece di scrivere, comincia a disegnare delle montagne. Che voi ci crediate o no, improvvisamente si trova dentro quel foglio in un istante.
C’è una lunga strada stretta che porta chissà dove. Una grande distesa bianca, ma non è neve. Marta cammina senza sosta. È curiosa di scoprire dove finisce quella strada.
Una polvere rossa sporca i suoi piedi e crea un contrasto strano con gli spazi intorno. Quante ore sono passate non lo sa, ma ecco che la strada sta per finire.
La conduce su una collina dove si respira aria pura, ed è bello stare lì. In fondo alla collina c’è un paese.
Cerca di avvicinarsi ancora e vede delle figure che non sono uomini, ma delle matite. Marciano ininterrottamente sotto un sole piccolo come una moneta, con pochi raggi, come fossero quelli di un disegno lasciato a metà. C’è un accenno di casa, alberi con pochi rami e un tronco da correggere; una scuola senza finestre, una piazza senza panchine.
Tutto è senza colore. Questo piccolo paese è circondato da un muro che sembra fatto di carta a quadretti. Marta rimane a guardare con gli occhi spalancati: non avrebbe mai immaginato di potersi trovare in un posto come quello. La matita gigante, di colore nero, adesso sta aggiungendo i raggi al sole, disegna delle rondini che non sanno volare e le finestre alla scuola. Dà una giusta composizione agli alberi e mette delle panchine nella piazza. A lavoro ultimato, si riposa e le altre matite incominciano a colorare ogni cosa.
La bambina vorrebbe scendere da quell’altura, costeggiare il paese e scoprire cosa c’è oltre il muro a quadretti. Ha anche fame e lo stomaco comincia a brontolare ma non vede neppure un supermercato.
“Potrei suggerire loro di costruirlo, forse mi ringrazierebbero, ma forse a loro non serve. L’unica cosa, sarebbe quella di tornare sui miei passi, verso casa, ma la strada è così lunga! Aspetterò la notte, se mai arriverà quaggiù, e domani andrò via da qui”.
Mentre parla tra sé e sé, stremata, si addormenta…
SECONDO GIORNO
Marta trascorre una notte senza luna e senza stelle perché nel paese delle matite quel sole piccolo come una moneta non è andato a dormire. “Oggi è tutto fermo, sarà il loro giorno di riposo”, pensa la bambina. Per le strade non si vede ombra di matita. “Scenderò adesso dalla collina, così scoprirò cosa c’è dall’altra parte”.
Scendendo, si accorge che sta diventando sempre più piccola. Il muro è fatto di un materiale che sembra di polistirolo… basterebbe una spinta per buttarlo giù. Si solleva da terra per guardare: non c’è nessun paese qui, soltanto delle creature morbide come gomme. Sfregano il loro corpo in lungo e in largo. Per le vie, poi, si sdraiano a pancia in su addormentandosi.
“Voglio rimanere ancora qui per studiare il loro comportamento, poi tornerò a spiare le matite”.
TERZO GIORNO
Marta trascorre ancora una notte senza luna. Quel posto non dà l’impressione di vivere. Si ozia dalla mattina alla sera e le creature camminano, poi si riposano; si riposano ancora e poi camminano. Le giungono delle voci dall’altra parte del muro e in fretta prende a risalire la collina.
È successo qualcosa di incredibile: l’intero paese ha perso le sue case, i suoi alberi, il suo sole! Una delle gomme, quella notte, ha superato il muro e, entrando, ha cancellato tutto. Ora le matite la tengono prigioniera.
Marta, alla ricerca di una soluzione, decide di andare in mezzo a loro e di spiegare che, abbattendo quel muro, potranno costruire insieme tante cose se lo vorranno. Dove le matite sbaglieranno, le gomme potranno cancellare.
Sarà un continuo creare e di sicuro sorgerà un paese migliore. Senza pensarci, la bambina si trova in mezzo a quelle strane creature.
Le matite provano a colorarle la faccia di tutti i colori, mentre la gomma tenta di cancellare la polvere rossa dai suoi piedi; ma non appena Marta inizia a parlare tutti si mettono in riga come tanti soldati. Poi, insieme, abbattono quel muro e tutto viene ricostruito.
Le rondini imparano a volare e il sole con i suoi raggi luminosi riesce a riscaldare. Alla fine inventano anche un nome per quel mondo incantato:
“IL PAESE DEI MATIGOMMA”.
Finalmente i suoi abitanti potranno essere uniti e le gomme non ozieranno più. Ma ora per Marta è giunto il momento di tornare a casa. La bambina li prega di accompagnarla lungo la strada stretta che la riporterà indietro.
Quelle strane creature vorrebbero andare con lei…
“Amici miei, non potete seguirmi, il nostro è un mondo diverso, tanto grande da far paura!” spiega Marta. Loro la ringraziano per averli aiutati ad abbattere il muro e lei li abbraccia forte forte.
La bambina ha tanto sonno e, dopo poco, si assopisce lasciandosi alle spalle quel paese così bello, ma conservando l’entusiasmo di quelle creature che, in qualche modo erano riuscite a entrare, chissà come, anche in questo mondo. Svegliandosi, Marta si ritrova con il viso sul foglio. In mano ha la matita nera e, accanto, una delle gomme.
Fu così che cancellò le montagne e incominciò a scrivere questa storia…
Se volete ascoltare queste favole insieme a molto altro, potrete farlo in questa bellissima puntata di Radio Crimy https://anchor.fm/il-mondo-di-crimy-art/episodes/Storie-di-Favole-e1ipaak?fbclid=IwAR1mxewhSo0W-2O9OXa8eivGR5LyIeteoJf3EVw5lGYyfQYtCjtJRZ55t8Y