Due anni dopo.
La maniglia della porta si piegò e l’uomo subito tese l’udito. I cardini girarono su se stessi producendo un lievissimo cigolio che non poteva sfuggire ai sensi acuiti del cieco. Era seduto sul bordo del letto e scorreva con le dita un libro in linguaggio braille.
La porta si aprì appena, poi un altro poco.
«Chi c’è?».
Tre passi leggeri risuonarono nel silenzio della stanza, poi si bloccarono. Un leggero alito di vento mattutino, proveniente dalla finestra socchiusa, sollevò le punte dei capelli della giovane donna.
«Ciao Ania, come stai?».
«Cresco zio».
«Sei diventata ancora più alta? E dove vuoi arrivare?». Cercò di scherzare l’uomo. «Ma non rimanere lì. Ci dovrebbe essere una sedia vicino alla scrivania, se non l’hanno spostata.
«Non posso smettere di crescere. Ne ho bisogno per guarire».
L’uomo abbassò la testa e chinò le spalle, come se un peso enorme vi si fosse posato sopra.
«Sei venuta a rivoltare il coltello nella piaga?».
«L’ho mai fatto in tutte le volte che sono scesa a trovarti?».
«No, e mi chiedo come tu riesca a farlo, dopo che…».
«Se non vuoi, se per te è ancora troppo difficile, rispetterò la tua scelta».
«No, ti prego. Sei l’unica visita gentile da quando si è saputo tutto. Solo tu, proprio l’unica che non mi sarei mai aspettato, continui a tornare».
«So che anche altri vengono ogni tanto».
«Si, una o due volte l’anno. Però lo fanno per pietà o per continuare a ricordarmi ciò che ho fatto e ad accusarmi, anche solo con il tono della voce o lo sguardo pesante… come se non bastassero le udienze del processo, gli avvocati, i medici e tutti gli altri».
«Puoi biasimarli?».
«No, certo che no. Però continuo a chiedermi come faccia tu. Come puoi riuscire a venire, da sola per giunta, a trovare il mostro che ti ha violata?».
«Vedo che ora riesci almeno ad ammetterlo».
«Ti fa sentire meglio? Vuoi che te lo ripeta?» sbottò all’improvviso l’uomo alzando la voce.
«Se lo fai per me, vuol dire che non hai ancora capito nulla».
«Ecco un’altra cosa che non comprendo. Come fai a essere sempre così calma? E poi perché hai chiesto al giudice di non farmi marcire in carcere per il resto dei miei giorni?».
Un silenzio assordante invase la stanza.
«Quindi alla fine hai saputo».
«Si, me lo ha detto l’avvocato la settimana scorsa che sei stata proprio tu a fare una richiesta esplicita».
«A me hanno detto che non si sa se la rispetteranno perché sono state fatte indagini. I poliziotti hanno fatto domande a tutte le persone che sono entrate in contatto con te e si sono fatte avanti altre due famiglie che hai frequentato».
«Ho saputo anche questo».
«Avevo immaginato di non esser stata l’unica».
«Non volevo farvi del male Ania, devi credermi!».
Un brivido scosse la schiena muscolosa della ragazza.
«Se davvero non volevi, potevi farti curare».
«Io? E mio padre che veniva nel mio letto ogni volta che beveva? Chi pensi mi abbia reso cieco, in un giorno che mi sono ribellato? Mi ha picchiato talmente forte, nella pancia e in testa, che quella volta ho creduto di morire!».
«Quindi è stato lui…».
«Si. Lui è il vero mostro! Se non lo avesse ucciso la cirrosi giuro che…».
«Giuri cosa!».
Ania, per la prima volta da quando aveva deciso di iniziare quelle visite, si sentì ribollire dalla rabbia e balzò in piedi stringendo i pugni.
«Ora voglio proprio sentire cosa avresti fatto. Lo avresti preso a pugni come hai fatto con la guardia che è venuta ad arrestarti? O forse lo avresti ucciso? Facile così, vero?».
L’uomo drizzò le spalle, sorpreso e in parte spaventato dalla forte reazione improvvisa.
«Violenza, violenza… possibile che non capisci? Pensi che tuo padre sia il mostro, e tu cosa sei diventato? Non ti è proprio venuto in mente che anche lui sia stato, prima di noi, vittima innocente? Magari da bambino come te e come tutti quelli che hai…». La voce le tremò, spezzandosi un istante, poi riprese il controllo di sé e tornò a sedersi ammutolendosi.
«Tu cosa avresti fatto?».
Ania sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le gambe.
«Non lo vedi? Ecco perché ti vengo a trovare. Per dimostrarti che esiste un’alternativa. Pensi che non avrei voluto anche io prenderti a cazzotti?».
«Lo so che ne avevi voglia, l’ho sentito, a volte, nella tua voce, e mi sono sempre chiesto come potessi resistere».
«Perché ho capito che non mi avrebbe fatto stare davvero bene. Che la rabbia, quella che ancora logora te e ti fa star male fino a un livello che non ho intenzione d’immaginare, io non la voglio. Non ho nessuna volontà di arrivare alla tua età senza essere riuscita a lasciarmi alle spalle questa storia, e a crearmi una vita vera».
«Ma io sto bene. Solo che poi succede che… beh si, tornano quelle sensazioni che non riesco a controllare e…».
«A chi stai raccontando questa scusa, a me o a te stesso?».
Sempre più sorpreso dalle risposte di quella ragazza che stentava a riconoscere, di quello che era stato uno scricciolo facile da usare per le sue pulsioni, non riuscì a rispondere.
«Vuoi davvero sapere come riesco a venirti a trovare?».
Il cieco fece un timido gesto di assenso con la testa.
«Con il lavoro su me stessa. Ho capito che non posso decidere ciò che mi succede nella vita, ma scegliere come reagirvi si. E io ho deciso che voglio stare bene. Me lo ripeto ogni giorno e ogni volta che mi prende il groppo alla gola. Per me è diventata la prima scelta di ogni mattino appena apro gli occhi».
«Ancora mi ricordo il giorno in cui tornasti dall’ospedale. I tuoi genitori avevano organizzato una festa di “bentornata a casa” e nessuno capiva perché, appena arrivata nel giardino, non scendevi dalla macchina. Poi arrivò la polizia».
«Perché stai cambiando discorso?».
«Perché solo ora ho capito che tu avevi già deciso quel giorno. Ricordo lo sguardo di fuoco di tuo padre e tu che mi voltavi le spalle».
«Era ancora troppo presto».
«Poi i poliziotti si misero a parlare con lui. L’altro tuo nonno, quello che non mi aveva mai sopportato, disse a tutti di stare calmi e di aspettare. Lo avevate avvisato, vero?».
Senza aspettare la risposta continuò.
«Si, finalmente ora mi è tutto chiaro. Già quel giorno era cambiato qualcosa in te. Magari il coma… si, deve essere stato il coma a farti tornare la memoria, nonostante tutte le mie accortezze e precauzioni».
Una risata isterica scosse il petto e la pancia dell’uomo.
«Quello stramaledetto ragnaccio mi ha fatto un bello scherzetto».
«Quegli esseri sono migliori di quanto possa sembrare a noi umani, così pieni di ego e sempre pronti a sentirsi superiori».
«Ecco vedi? Non lo avresti mai detto prima di quel giorno. Si, deve essere proprio così».
«Ciao zio».
«E bravo il ragnetto…».
La ragazza si alzò e lasciò l’uomo a rimuginare.